Casal di Principe, 5 febbraio 2013 – Rievocato, ancora una volta. E ancora una volta a farlo sono camorristi. Camorristi redenti, pardon: pentiti. E ne parlano come di un colluso, come uno che alla camorra avrebbe fatto anche qualche favore. Portando voti. Eppure parliamo di quella stessa camorra che don Peppe Diana ha combattuto, e per questo è stato ucciso. Oggi quei camorristi di allora provano a infangarne il nome. Ed è per questo che Emilio Diana, il fratello del sacerdote ucciso il 19 marzo del 1994, ha annunciato azioni giudiziarie. “Non sono bastate tre sentenze per mettere la parola fine sulla vicenda del nostro congiunto – ha affermato Emilio – ora arriva altro fango su una persona che non si può più difendere e non può contestare quello che viene detto. Mio fratello non trova pace”. Il dito è puntato contro Carmine Schiavone, primo pentito dei Casalesi e cugino del boss Francesco Schiavone, in arte Sandokan. Nel corso del processo a carico di Nicola Cosentino, in corso di svolgimento a Santa Maria Capua Vetere, Carmine Schiavone ha dichiarato il sacerdote si era schierato con l’uomo che qualche anno più tardi sarebbe diventato sottosegretario all’Economia: “Cosentino – ha dichiarato in videoconferenza il collaboratore di giustizia – mi chiese di coinvolgere il prete. Portava molti voti. Gli chiesi di appoggiarlo per le elezioni provinciali. Era il 1991”. “Provo solo indignazione per questo tentativo di coinvolgere in un processo politico la figura di don Diana”, ha dichiarato don Stefano Giaquinto, parroco a Casagiove. Secondo Valerio Taglione, coordinatore del Comitato intitolato al sacerdote, “chi attacca la memoria di don Diana vuole delegittimare tutto il movimento anticamorra che nel suo nome sta cercando di cambiare questi territori”.
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